L’opera di Wanda Benatti rientra in certo qual modo nell’ambito dell’espressionismo astratto, ma tale collocazione presa alla lettera risulterebbe piuttosto limitativa.
Non è difficile infatti riscontrare nell’artista altre ascendenze (i trecentisti senesi per i fondi dorati ovvero l’esperienza grafica orientale per alcuni elementi gestuali legati alla scrittura araba) mentre sempre viva è l’attenzione rivolta verso il rapporto segno/spazio/colore.
Né dobbiamo lasciarci trarre in inganno dalla presenza di richiami alla realtà, come accade nei “flowers” – poiché si tratta pur sempre di meri pretesti, mentre il fine ultimo cui tende la Benatti è il trasporto sulle superfici (che sia carta, tela o altro poco importa) di un particolare stato d’animo.
Di una situazione mentale cioè che viene espressa attraverso semplici suggerimenti e mai in modo esplicito; procedimento questo che finisce col coinvolgere in modo totalizzante lo spettatore entro il gioco dell’artista immergendolo in un clima di mistero.
Non a caso la Benatti ha un vivo senso della luminosità; e proprio da ciò scaturiscono composizioni mai statiche ove il movimento interno è appunto dominato dal colore e dagli effetti di contrasto. Si pensi al valore emblematico assunto dalle tonalità scure la cui presenza nulla toglie alla luminosità anzi maggiormente la sottolinea.
Da notare inoltre come sia caratteristica costante di queste opere la presenza di una trattenuta aggressività sfociante nell’ambiguo, un ambiguo che strettamente si collega a quella allusività di cui, sopra abbiamo fatto cenno. Da tali considerazioni scaturisce l’immagine di un’artista seria ed impegnata nell’ambito di una rigorosa ricerca estetica che le permette di trascorrere dai «flowers» alla «serie rossa» senza mai tradire sè stessa, sviluppando un unico conseguente discorso incentrato
su raffinate variazioni tematiche.
Roberto Vitali
Bologna, 2 febbraio 1994
(presentazione della personale allo Spazio Cultura NAVILE – Bologna)