Jules Crépieux, vero fondatore della “grafologia” (anche se il termine è stato coniato nel 1870 dall’abate Michon), elenca ben 175 specie di peculiarità grafiche, raggruppate in 7 punti di vista: velocità, pressione, forma, direzione, dimensione, continuità e ordine; ad ogni grafia corrisponde un tratto del carattere. Si deve invece alla scuola tedesca ed alla sua impostazione gestaltica – sintetizzata nella frase “il tutto è più della somma delle parti” l’idea di porre il ritmo come punto importante di osservazione, per un’analisi più ampia. sul segno oltre il suo significante.
Ora, se poniamo alla base della lettura del lavoro di Wanda Benatti questa premessa, potremmo percorrere “un viaggio” che ne attraversa le opere, siano esse pittoriche o strutturate in “vetrate artistiche” .
La matrice comune a tutta l’opera artistica della Benatti è il ritmo narrativo che compone le sue stesure cromatiche e gestuali, dove appare evidente la partecipazione mnemonica dell’autrice. Sottolineate dai titoli, le grandi tele come gli interventi su vetro, raccontano di luoghi o “siti della memoria” che hanno perso la loro fisicità figurata per assumerne un’altra, più intima e poetica, più esistenzialista e irrazionale, tanto vicina all’esperienza teorizzata da Tapié in “Un Art Autre”. Adagiati con irruenza controllata, pigmenti e segni, si ordinano sulle tele per assumere forme antropomorfe, aniconiche, ricche di metafore filosofiche. Dalle culture orientali il vento che appiana tutti i suoni, da quelle precolombiane la grafia devozionale, fino a quella linea immaginaria stesa attorno alle parole di Francesco Arcangeli de “Gli ultimi naturalisti”.
Un’arte, quella di Wanda Benatti, che gode di quel dono di aggregazione dei sogni altrui, capace di una sintesi espressiva, matura e personale. Le campiture d’oro che s’intrecciano a ricercati motivi ornamentali, i segni ciclici che sono rappresentazioni solari nelle forme eterne e primordiali delle civiltà preincaiche e’,megalitiche, si fondono nei volumi colorati come capitoli di una narrazione ininterrotta, che pare continuare di opera in opera: La luce poi, che nelle pitture è racchiusa nelle sovrapposizioni della materia, esplode partecipe nelle vetrate con la proiezione spaziale dei colori ombrati, lasciando agli ambienti che le ospitano la magia dell’attesa del cambiamento.
Se Le Corbusier, nella cappella di Notre-Dame du Haut, a Ronchamp, ha operato per sottrazione di luce nelle sue vetrate o nei frangisoleper creare un lento assorbimento che accompagna una meditazione religiosa, nei lavori di Wanda Benatti vediamo che l’illuminazione accesa dei suoi colori irrompe nella fantasia come il sapore di un ricordo, come una sensazione primordiale, come la musicalità nella parola del poeta. Non ci fermiamo in questa lettura che scivola sulla superficie pittorica per coglierne solo l’aspetto estetico, ma, se indaghiamo nella complessa costruzione delle non-immagini, potremmo sentire le vibrazioni di un mantra che nella ripetizione cantilenante apre l’occhio alla profondità di uno spazio metaforico dove appaiono i paesaggi del cuore, i paesi mai incontrati, le strade infinite.
Il ritmo narrativo di Wanda Benatti, è forse tutto questo, o è altro: oltre le forme, i segni, la continuità, l’ordine, come può essere solo un sogno.
Il tutto è più della somma delle parti